Eccoci di ritorno dopo la pausa estiva!
Oltre a ricominciare i corsi, di cui qui trovate la programmazione, vogliamo ripartire con le nostre chiacchierate sulla fotografia.
Approfittiamo dell'inaugurazione questa settimana della mostra dedicata a Richard Avedon presso il Palazzo Reale di Milano, per parlare di uno dei maestri indiscussi della fotografia del Novecento, tanto presente anche nella nostra didattica.
Ciò che più sorprende della lunga carriera di Richard Avedon è l’estrema polivalenza della sua opera che va dal reportage di guerra alla moda, dalla ritrattistica alla pubblicità.
I primi anni
Nato a New York nel 1923 da famiglia ebrea, Richard Avedon mostra subito un vivo interesse per l’obiettivo quando, a dodici anni, entra nel club fotografico della Young Men’s Hebrew Association (YMHA). Il padre era un immigrato di origine russa dalla rigida mentalità, convinto che la migliore disciplina per un ragazzo fosse basata sulla forza fisica e sul denaro.
Il clima in famiglia influisce inevitabilmente sull’approccio di Richard Avedon alla sua arte, che risulta fin dalle origini il tentativo di catturare la tragicità della bellezza in uno scatto. Tra il 1937 e il 1940 Richard Avedon lavora al giornale della scuola insieme allo scrittore americano James Baldwin. Dopo il diploma si iscrive alla Columbia University per iniziare gli studi di letteratura e filosofia che dopo un anno abbandona per intraprendere la sua prima attività di fotografo presso la Marina Mercantile degli Stati Uniti:
“Il mio lavoro era fare fotografie di identità. Devo aver fotografato centomila volti prima di rendermi conto che stavo diventando un fotografo”.
Un esordio non propriamente glamour, quello di Richard Avedon che dal 1944 inizia a prendere lezioni di fotografia da Alexey Brodovitch, direttore della rivista Harper’s Bazaar. È l’anno della svolta: sposta il suo focus verso l’universo fashion, arrivando a cambiare le regole della fotografia di moda, fino a quel momento basata su rigidi scatti in posa.
Il primo passo che Richard Avedon compie verso la modernizzazione della fashion photography è infatti quello di portare le modelle fuori dallo studio, immergendole nella realtà delle strade di città, dei locali notturni, delle spiagge e in altri luoghi fino a quel momento considerati insoliti. Fin da questi primi scatti s’intravede quell’inventiva diventata un segno distintivo della sua arte.
La moda, il rock, l’impegno civile
Con il successo di Harper’s Bazaar, Richard Avedon si fa notare dalle più importanti riviste americane come Life, Graphis, Look e Theatre Arts. per le quali inizia a realizzare ritratti, genere in cui diventerà un vero e proprio specialista. La sua fotografia piace per quella immediata empatia che si coglie in ogni scatto, in grado di suggerire la personalità del protagonista. Ogni cosa pare avere vita nei ritratti di Richard Avedon: pose, atteggiamenti, acconciature, abbigliamento e accessori. Ogni dettaglio è l’indizio di una personalità.
Nell’aprile del 1965 abbandona Harper’s Bazaar, dopo le critiche ricevute per aver lavorato con delle modelle di colore, e inizia la sua collaborazione con Vogue che durerà oltre vent’anni, fino alla fine degli anni 80. Come fotografo di moda, spiccano in quegli anni diverse campagne pubblicitarie per Revlon e Gianni Versace.
Negli anni 60, oltre al suo lavoro con la moda, Richard Avedon è vicino ai protagonisti dei diritti civili e politici, in un’America impegnata nella guerra del Vietnam. Tra i soggetti della sua fotografia ci sono dissidenti, manifestanti pacifisti e anche i pazienti degli ospedali psichiatrici.
Nel 1964 esce un libro dal titolo Nothing Personal, con i testi del suo compagno di liceo James Baldwin. Qualche anno dopo ritrae i Beatles in due momenti diversi, rilasciando due celebri serie di ritratti, la prima a colori psichedelici del 1967, la seconda in bianco e nero per l’uscita dell’album The Beatles (ribattezzato “The White Album”) dell’anno successivo.
In questa epoca il nome di Richard Avedon esce dai confini della sua professione di fotografo, ormai notissimo in tutto il mondo, per entrare nella dimensione del Pop, più precisamente in quel territorio a metà strada tra l’arte e la fotografia “commerciale”. I suoi ritratti includono tutte le celebrità del periodo, dal guru della Beat Generation Allen Ginsberg a Marilyn Monroe, da Andy Warhol al generale Eisenhower.
Le campagne per i grandi nomi della moda, forniscono a Richard Avedon la libertà di perseguire grandi progetti in cui esplorare le sue passioni culturali, politiche e personali.
Dal 1979 al 1985, lavora a lungo su commissione dell’Amon Carter Museum of American Art, dando vita all'epica mostra itinerante e al libro In the American West, i cui protagonisti sono gli antieroi della working class americana.
Il Perfezionismo
Se Richard Avedon fosse ancora vivo oggi, nell’era delle fotocamere digitali, probabilmente apprezzerebbe molto il fatto di poter fare un numero infinito di scatti, prima di arrivare a quello giusto. Sì, era un perfezionista. Poteva utilizzare interi rullini, prima di trovare la posa desiderata e il famoso scatto della modella Dovima tra gli elefanti ne è una prova: l’immagine sembra un dipinto organizzato in ogni dettaglio della composizione.
Il perfezionismo di Avedon entra però in contrasto con quella che fu la sua rivoluzione nella fotografia di moda, dal momento che portò le modelle fuori dagli studi, chiedendo loro di avere delle espressioni “vive”, di prendere vita davanti al suo obiettivo. Caratteristica che oggi diamo per scontata, ma che negli anni Cinquanta dello scorso secolo non era affatto comune nella fashion photography.
Ironia e leggerezza sembrano in apparenza in contrasto con la perfezione pretesa da Richard Avedon, eppure nella sua fotografia coesistevano sempre. Questa geniale contraddizione, che costituisce uno degli aspetti più interessanti del suo stile, è ancora più evidente nella seconda fase della sua fotografia di moda, quando riporta i modelli e le modelle in studio, chiedendo loro di assumere pose vitali con lo sfondo neutro e la luce fredda del flash. Ennesima antitesi e ulteriore prova della ricerca di un perfezionismo “naturale” da parte di Richard Avedon.
L’apice di una carriera
Se nel mondo “frivolo” della moda, l’impresa (riuscita alla perfezione) è quella di portare vitalità in uno stile fino a quel momento rigido ed eccessivamente composto, nella fotografia più impegnata il fine ultimo di Avedon è quello di dare massina dignità agli aspetti quotidiani, alle tragedie di tutti i giorni di persone note oppure di perfetti sconosciuti. In questo senso sono paradigmatiche due esperienze tra le più importanti del suo lascito: le immagini della lenta morte del padre Jacob e la mostra (e il libro) In The American West. La prima esperienza, che lasciò sconvolti pubblico e critica, fu al centro di una memorabile exhibition al MOMA di New York che si tenne nel 1974. La seconda si focalizza sulla gente comune dell’America di provincia – con ritratti di minatori, disoccupati e braccianti – la cui brutalità è resa monumentale dalla perfezione formale di scatti impeccabili, non diversi da quelli glamour della sua celebre fotografia di moda.
Il progetto è considerato da molta critica come l’opera maggiore o comunque il vertice della sua maturità artistica, oltre che uno dei lavori più rappresentativi nella ritrattistica del XX Secolo. E il formato esagerato (quasi il metro di altezza, sviluppo laborioso dalla pellicola Kodak Tri-X) dei ritratti di questa “common people” contribuì in modo determinante all’impatto che la mostra ebbe ai tempi della sua organizzazione e all’eredità lasciata dal volume che ne fu tratto.
Questo è anche uno dei progetti che più amiamo citare nelle nostre lezioni di ritratto che teniamo in Accademia.
È indubbio che Avedon ci abbia lasciato un'eredità impressionante.
Noi stessi in Accademia lo studiamo e prendiamo a modello, ed è spesso protagonista delle nostre lezioni in sala di posa e dei nostri workshop.
Per esempio queste immagini scattate da Antonio Crisà si rifanno esplicitamente allo stile di Avedon in studio e alle sue fotografie di danza, con la ricerca della posa perfetta e un'illuminazione laterale che dona incredibile volume esaltando le forme. Nel master di fotografia in studio e in parte anche nel corso di fotografia mod.2 lo studio degli autori, aspetti storici, teorici e culturali accompagnano sempre la pratica, fondamentali per capire da dove è partita e dove sta andando la fotografia. Vuoi percorrere questo viaggio insieme a noi? Ultimi posti disponibili per le edizioni invernali dei corsi!
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